Dieci anni di telematica civica in Italia. Fra utopia e disincanto

Si terrà a Venezia, il prossimo 28 giugno 2006, un convegno su “Dieci anni di telematica civica in Italia. Fra utopia e disincanto”. “Utopie, riflessioni, proposte, problematiche per ripensare il futuro della telematica civica”
Dieci anni, sembra un secolo.
Dieci anni fa, sulla spinta di una riforma della pubblica amministrazione che tutti aspettavano da 40 anni, un manipolo di folli diede avvio, nel nostro Paese, a quello straordinario processo di ammodernamento del rapporto tra P.A. e cittadini che, utilizzando le moderne tecnologie informatiche, doveva, nelle intenzioni, garantire trasparenza e fiducia nei processi amministrativi. Erano tempi in cui l’Italia, lentamente, tentava di uscire da tangentopoli e la rete sembrava un’occasione straordinaria per ridare credibilità anche al mondo politico ed alla sua gestione della cosa pubblica.
Internet era, o sembrava essere, la panacea di tutti i mali. Grazie al Web i Comuni, le Regioni, le Province, ma anche i Ministeri potevano diventare, si disse, delle case di vetro, capaci, in quanto tali, di garantire la tanto auspicata trasparenza amministrativa.
Qualcuno si spinse anche oltre, immaginando una forma di democrazia evoluta, possibile attraverso l’uso diffuso della rete, tanto che fu coniato l’italianissimo concetto di “democrazia elettronica”.
Attraverso le prime Reti Civiche sembrava si realizzasse un processo che aveva le sue radici in profondi valori Etici.
Finalmente, pensammo, poteva finire l’incubo kafkiano della legge che non ammette ignoranza. “E’ estremamente penoso – aveva scritto Kafka nel 1920 - essere governati sulla base di leggi che si ignorano”.
La rete offriva la possibilità di trovare una cura ai mali dell’incomunicabilità tra governanti e governati.
Nella sua natura di “utopia della comunicazione trasparente”, la prima fase dell’innovazione tecnologica della P. A. fu condotta sulla base di tre principi guida:

• Il libero accesso all’informazione è un diritto
• La trasparenza non è metodo ma obbligo
• La partecipazione è l’unico strumento per recuperare credibilità ma anche efficienza.

Un quarto principio, direttamente derivato dal dettato costituzionale, che sancisce che tutti (e quindi anche la Pubblica amministrazione) hanno il diritto di informare, in quella prima fase non trovò grande attenzione. In seguito fu invece quel bisogno di informare a farla da padrone.

Nel ‘99 ci ritrovammo a Parma in tanti, tra operatori e amministratori, e qualcuno ancora ricorda che iniziò forse proprio da lì la fase due, quella che vedeva muoversi intorno alle potenzialità della rete finalmente interessi veri.
Gli innovatori della pubblica amministrazione, fino ad allora trascurati e spesso ignorati da aziende e politici, diventavano di colpo oggetto di grande interesse e qualcuno incominciò a chiedersi se l’internet della P.A. non fosse una cosa troppo seria perché la si lasciasse nelle mani di “informatici” e apprendisti stregoni della comunicazione.
Qualcuno aveva fiutato il business, qualcun altro aveva intuito che la rete poteva anche essere un grande strumento per creare consenso.

Poi arrivò, nel 2000, la legge sulla comunicazione istitituzionale, la mitica 150, e tutte le buone intenzioni etiche divennero legge. E così l’etica, che fece muovere le prime sperimentazioni, lentamente sparì dentro la gazzetta ufficiale.
Le “cure” per una P.A. ritenuta malata di “incomunicabilità” si fecero più pesanti, si agì a colpi di investimenti e di scienziati della comunicazione assoldati a caro prezzo. Cure fatte di portali nuovi di zecca, pieni di notizie su cosa fa la politica, in cui, però, per trovare quello che t’interessa ci metti di più che chiamare l’amico nella segreteria dell’assessore.
Qualcuno dimenticò insomma che la comunicazione istituzionale non dovrebbe avere target e che il marketing della P.A. è scienza inesatta e si lanciò nella realizzazione di nuovi strumenti di propaganda online che andavano ad alimentare ulteriormente il sistema già viziato tra media e P.A. Tutto questo trascurando i veri strumenti di partecipazione democratica che pure la rete consentiva di realizzare. Anche i valutatori (Censis Rur) hanno fino ad oggi giudicato i siti della P.A. soprattutto sulla base di parametri che non tengono conto dei valori etici dovuti alla comunicazione istituzionale ma solo delle ottime tecnologie usate.
Insomma, negli ultimi anni, molti errori, nella presenza nella rete della P.A., sono stati commessi e molti a nostro avviso sono riconducibili alla perdita di quei valori etici che erano all’origine del processo di innovazione.

Anche di questo ci ritroveremo a discutere a Venezia. Fatto curioso, i quattro responsabili di reti civiche invitati a relazionare in quella sede, sono ancora gli stessi di 10 anni fa. E come dieci anni fa, ancora una volta, è un filosofo, oggi sindaco, che ci chiama a discutere e a riflettere sul futuro della telematica civica. Significherà qualcosa?

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