Erogazione di servizi tramite internet? Liberiamo le energie nascoste!

Un interessante articolo di Carlo verdino...
Si sentono tante sigle in giro… e tutte hanno il prefisso IP davanti che, per coloro che ne commercializzano i servizi, indicano che essi viaggiano sulla rete internet in maniera paritetica “a rete magliata”, dove ogni punto ha pari dignità di trasmissione e ricezione. Ma le cose stanno davvero così? E’ davvero possibile effettuare, magari da casa propria, tutte le operazioni connesse ad un vero servizio internet? Ebbene, anche se a livello di programmi e di software ciò è senz’altro possibile, un ostacolo insormontabile si riscontra nella gestione del collegamento internet. Si potrebbe pensare che il problema sia la banda larga, e certamente in parte lo è, ma il vero scoglio attuale sta nell’avere a disposizione un indirizzo IP pubblico. Tutti noi abbiamo sperimentato o almeno visto come funziona un servizio di VOIP, di Videoconferenza tramite WEB oppure visto programma in streaming audio o video senza grossi disagi, la banda già larga sarà sempre più larga ma allo stato attuale avremo sempre bisogno di un server centrale che si occupa di tradurre indirizzi di connessione domestici (quindi per la parte numerica variabili o dinamici) in indirizzi logici fissi. Se ad ogni connessione internet ottengo un numero di IP differente, non di potrà mai indirizzare una richiesta al mio computer dall’esterno. In parte il problema viene aggirato dai fornitori di servizi. Ad esempio Microsoft Messanger o Skype fanno da server per il collegamento ed identificano l’IP di colui che si connette e poi fanno da “centralino” per coloro che lo devono trovare “on-line”; qualora non ci si connettesse al server centrale dei servizi tutto ciò non sarebbe più possibile. Il problema dell’indirizzamento IP venne affrontato negli anni ’70 quando i computer collegati in rete erano poche decine e si pensò, tenendosi larghissimi dato che il fabbisogno era per pochi computer pensando ad indirizzamenti per pochi milioni di computer. Già a metà degli anni novanta si ebbe la netta percezione che i “range” di indirizzi pubblici, distribuiti da Autority internazionali ai singoli paesi ed accaparrati per sottoclassi sarebbero stati pochi per il tumultuoso aumento della connettività internet. Allora la strategia era evidente: come avviene in altre realtà giocando sulla non simultaneità dei collegamenti è possibile in un rapporto di 1:10 mantenere la connettività non simultanea di dieci utenti per IP disponibile. Tale strategia era attuata ad esempio dalle compagnie telefoniche per le linee telefoniche analogiche che mai avrebbero dato la possibilità a tutti gli utenti di parlare contemporaneamente, ma era altamente improbabile che ciò accadesse. Nei rari casi di necessità – calamità naturali o altro- si palesavano i problemi di questo sistema.

Successivamente furono creati altri strumenti per facilitare il compito: gli indirizzamenti su base privata che vengono usati nelle aziende oppure nelle piccole reti domestiche, per consentire a più utenti di usufruire dei servizi internet tramite un singolo indirizzo IP oppure col sistema del DNS ( i nome a dominio tipo http://www.pippo.it che corrispondono ad un IP fisso) che avrebbero consentito ai server di avere attivo su un singolo IP molti siti contemporaneamente.

Tali sistemi sono utilizzati ancora oggi per altri scopi (sicurezza telematica etc..) ma ancora non è possibile attivare un rapporto 1:1 tra computer collegati ed indirizzi IP. Sono molti anni che accanto ai criteri di indirizzamento standard definiti IPv4 sono state emesse direttive per l’implementazione di uno spettro di indirizzi più ampio detto IPv6 che consentirebbero l’indirizzamento su base pubblica di centinai di miliardi di apparecchiature, dato che si è pensato che in un prossimo futuro possano essere collegati in rete anche gli elettrodomestici casalinghi come i frigoriferi. Tali direttive sono state recepite dagli sviluppatori dei sistemi operativi e dal 2001 sono implementati per ogni versione di Windows, Mac e Linux sia come client che come server. Essi spesso sono già operativi e sono scalabili (possono essere usati anche per chi utilizzasse ancora i sistemi IPv4) anzi già dal 2004 dichiarati dalle autority pienamente implementati sui server DNS e già utilizzati per comunicazione su molte reti di trasporto dati mondiali.
Cosa accadrebbe se domani mattina fosse implementato l’IPv6 da parte dei fornitori di connettività che già lo utilizzano al loro interno?
Sarebbe velocizzata la trasmissione di programmi in broadcast (IPTV) dato che il nuovo protocollo agevola la trasmissione dati da uno a molti facendo risparmiare molta banda.
Ogni computer ad uso domestico sarebbe in grado di avere le stesse possibilità di un server per quanto riguarda l’erogazione di servizi (siti internet, server di posta etc…).
Si avrebbe una effettiva uguaglianza all’interno dei nodi della rete dato che tutti avrebbero uguale potenzialità.
Si potrebbe gestire tutto il traffico telefonico voce direttamente da PC oppure, con un piccolo router, smistare la linea senza pagare canoni a nessuno, neanche per il VOIP.
Si potrebbero avviare vecchi progetti di computazione diffusa per calcoli che bisognerebbero di milioni di PC per scopi scientifici e che potrebbero essere smistati su computer domestici che aderiscono all’iniziativa dando potenza elaborativa non utilizzata.
Si potrebbe avviare un serio programma di condivisione della conoscenza che risieda in maniera diffusa su decine di milioni di computer senza alcuna possibilità di censura.
Si abbatterebbero immediatamente i costi della telefonia mobile per i gestori e per i clienti.Come si vede un enorme ventaglio di opportunità che non viene utilizzato e con la relativa tecnologia già presente in tutti gli apparecchi che si collegano ad internet (tranne forse qualche router più vecchiotto). Perché allora tutto questo non accade?
Perché i fornitori di servizi (di VOIP, di contenuti multimediali etc…) non potrebbero più essere accentratori di portali di servizio e soprattutto esattori di un canone per la loro fornitura, incassando royalty o corrispettivi pubblicitari. Anche realtà di mercato che sembrano molto evolute come Skype non sfuggono alla regola; si passa attraverso di esse, la propria pubblicità, i propri costi. Le società del settore dovrebbero cambiare il loro modello di business. Le attuali comunità di condivisione file che per molti versi sono le più evolute tecnicamente con programmi come E-mule, DC, Gnutella etc.. già utilizzano da anni tali criteri, sono tra le più fiorenti su internet ed in alcuni casi fanno a meno anche dei server di identificazione per definire gli IP dei partecipanti, condividendo sulla rete lo stesso processo che avviene per i server DNS: propagazione dei record in maniera paritetica orizzontale.
Alcune nazioni come Cina, Giappone e Corea già si sono strutturate tecnologicamente per il passaggio all’IPv6 e la stessa Francia già ha chiesto all’Autority dei propri set di indirizzi IPv6. L’Italia sta perdendo l’ennesimo treno?

Carlo Verdino

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